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Santi del 17 Ottobre

Il mio Santo > I Santi di Ottobre

*Beato Baldassarre Ravaschieri da Chiavari - Sacerdote Francescano (17 ottobre)
Chiavari, Genova, 1419 - Binasco, Milano, 17 ottobre 1492
Nato dalla nobile famiglia Ravaschieri, vestì l'abito francescano entrando nei Minori Osservanti della città e divenne dottore in teologia e sacerdote. In seguito occupò la carica di guardiano di Chiavari, poi di provinciale di Genova. Si dedicò alla predicazione, ma la gotta lo costrinse a ritirarsi nel convento di Binasco, tra Milano e Pavia, e a restarvi confinato.
Tuttavia, sebbene portato a braccia dai confratelli, poteva assistere alla Messa, prender parte alla recita dell'Ufficio e soprattutto ascoltare le confessioni dei fedeli, attirati dalla fama della sua santità. Fu legato da amicizia con Bernardino da Feltre.
Si racconta che una notte d'inverno, essendo rimasto nel bosco, la neve, scesa in abbondanza, lasciasse intatto il punto dove egli sedeva. Morì il 17 ottobre 1492 e fu sepolto in un'arca di marmo. Il suo culto fu approvato da Pio XI l'8 gennaio 1930.
Patronato: Malati di gotta
Etimologia: Baldassarre = Dio protegge la sua vita
Martirologio Romano: A Binasco in Lombardia, Beato Baldassarre da Chiavari Ravaschieri, sacerdote dell’Ordine dei Minori.
Baldassarre Ravaschieri nacque a Chiavari nel 1419, da nobile famiglia genovese. Entrò nell'ordine francescano dei Minori Osservanti, fece la professione e venne ordinato sacerdote, laureandosi successivamente in teologia. Nel convento di Chiavari assunse il compito di guardiano e in seguito fu nominato responsabile di tutta la Provincia di Genova.
Nel pieno del suo fecondo apostolato, venne colpito dalla gotta e la malattia lo debilitò a tal punto
che progressivamente non poté più muoversi. Decise allora di ritirarsi nel convento di Binasco, piccolo centro tra Milano e Pavia. Veniva portato in chiesa per poter assistere alla Messa e recitare con i confratelli l’Ufficio.
Il suo ministero però non divenne per questo meno fruttuoso. Fu un apostolo del confessionale, molti penitenti divennero suoi figli spirituali. Il beato Baldassarre, per trovare un po’ di quiete, si faceva portare, di tanto in tanto, nel vicino bosco, dove poteva pregare in solitudine. Un giorno gli apparve la Vergine Santissima.
Padre Ravaschieri era molto stimato. Amico del Beato Bernardino da Feltre, lo aiutò, come poteva, nelle sue fatiche apostoliche. Fu confessore e consigliere spirituale della beata Veronica da Binasco, la mistica umile e analfabeta, che leggeva nei cuori e nelle coscienze. Fu amico di Giovanni Antonio Amadeo, insigne scultore, ingegnere e architetto.
Padre Baldassarre morì a Binasco il 17 ottobre 1492. Il culto, costante nei secoli, venne approvato da Papa Pio XI nel 1930. Le sue reliquie furono portare a Pavia nel 1805, a causa delle leggi di soppressione degli ordini religiosi, e poi trasferite nella chiesa parrocchiale di Baselica Bologna, frazione di Giussago.
Preghiera
O Beato Baldassarre,
che durante la gioventù vi siete santificato con la pratica delle virtù cristiane,
da religioso foste un perfetto seguace del vostro Padre San Francesco,
apostolo ardente della salvezza delle anime,
modello di pazienza e uniformità al divino volere
durante la lunga e dolorosa infermità,
pregate per noi e assisteteci in ogni bisogno.
Otteneteci che, approfittando delle disposizioni di Dio a nostro riguardo,
santifichiamo la nostra vita e ci salviamo con Voi nella gloria del paradiso. Amen.
(Autore: Daniele Bolognini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Baldassarre Ravaschieri, pregate per noi.

*Beato Battista de Bonafede - Mercedario (17 ottobre)

Per la difesa della fede cattolica, il Beato Battista de Bonafede, mercedario di Palermo, rimase per lungo tempo nelle carceri africane sopportando oltraggi e tormenti per amore di Cristo.
Liberato dalle catene dai suoi confratelli, ritornò nel convento di Sant'Anna in Palermo dove pieno di meriti restituì l'anima a Dio.
L'Ordine lo festeggia il 17 ottobre.
(Fonte:
Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Battista de Bonafede, pregate per noi.

*Santi Catervio, Severina e Basso - Martiri (17 ottobre)

m. Tortona (AL), 68 circa
Patronato: Tolentino
La recente promulgazione da parte della Conferenza Episcopale Italiana del nuovo Rito del Matrimonio contenente, fra i vari formulari proposti, anche le nuove “Litanie dei santi sposi”, ha suscitato in diversi ambiti ecclesiali una riscoperta ed un notevole interesse per quelle coppie di sposi che si sono distinte per la loro particolare santità.
Non presente in tale incompleto elenco titanico, ma comunque supportata da un antichissimo culto, è una famiglia romana composta dai coniugi Flavio Giulio Catervio e Settimia Severina e dal loro figlio Basso. Per riscoprire le poche certezze storiche su questi santi occorre fare un breve viaggio a Tolentino, città a cui è tradizionalmente legato il loro culto.
Qui un’antica chiesa è dedicata proprio a San Catervo, il più celebre dei tre familiari, e la vita di tale edificio sacro presenta tre fasi salienti. La prima, iniziatasi in data anteriore all’anno 1000, arriva sino al 1256, quando i monaci benedettini chiesero all’allora papa Alessandro IV l’autorizzazione per restaurare la chiesa.
La seconda fase iniziò dunque dopo tale anno, ma purtroppo non si sono conservati particolari reperti archeologici per poter fare un raffronto con il primitivo edifico. La nuova chiesa sorse con asse orientato in direzione est-ovest, con tre navate in stile romanico ogivale, pilastri cruciformi e presbiterio sito nell’area dell’attuale facciata.
Tale costruzione, di cui sussiste una parte nella Cappella di San Catervo, allora cappella della Santissima Trinità, resto pressoché immutata fino al 1820, qualora si pensò di dare un nuovo assetto all’ormai fatiscente edificio. Furono incaricati di tale perazione prima il pittore tolentinate Giuseppe Lucatelli ed in un secondo momento l’architetto maceratese Conte Spada.
Questi nel voler dare alla chiesa un nuovo assetto architettonico di tipo neoclassico, decise di cambiarne l’orientamento invertendolo, ponendo il nuovo ingresso ove prima era il presbiterio della chiesa monastica del 1256, di cui resta un grandioso portale sul lato sinistro della chiesa.
Il nuovo edificio a tre navate, inglobante tutte le strutture della precedente costruzione, fu realizzato a croce latina.
In fondo alla navata sinistra si realizzò così la Cappella di San Catervo, volta a custodire il grandioso sarcofago, uno tra i più importanti delle marche, ricavato da un unico blocco di marmoe comprendente i busti dei due coniugi.
Dall’iscrizione inclusa nella tabula del sarcofago si apprende che Flavio Giulio Catervio appartenne ad una nobile famiglia senatoria, che fu prefetto del pretorio e morì all’età di soli 56 anni. In tale epigrafe si ricorda inoltre, con un formulario intessuto di forme poetiche, impregnate di una fede lucente nella resurrezione, il sacramento matrimoniale: “Il Signore Onnípotente, che con meriti uguali vi unì nel dolce vincolo del matrimonio, custodisce per sempre il vostro sepolcro.
O Catervio, Severina è felice per essersi unita a te: possiate insieme risorgere, con la grazia di Cristo, o voi beati, che il sacerdote del Signore, Probiano lavò con l'acqua battesimale e unse con il sacro crisma”.
Tale monumento fu fatto costruire dalla moglie per entrambi. Il sarcofago fu oggetto di ispezione nel 1455 ed in tale occasione ne fu estratto il capo di San Catervo, che venne posto in un reliquiario alla venerazione dei fedeli. Di una successiva apertura nel 1567 esiste una testimonianza documentata e particolareggiata. Furono così rinvenuti i corpi di San Catervo e di suo figlio Basso.
La cappella del sarcofago è comunque uno dei pochi residui dell’antico complesso monastico benedettino.
La tradizione vuole che Catervio sia stato il primo evangelizzatore della città di Tolentino e proprio ciò abbia comportato il martirio per lui e la sua famiglia., ma come per tutti i martiri loro contemporanei non è purtroppo possibile reperire ulteriori informazioni e dettagli circa il loro operato, quanto piuttosto sul culto loro tributato.
La figura di San Catervo si è dunque strettamente legata alla città di Tolentino di cui è patrono, sebbene questa sia più conosciuta per il celebre San Nicola. Sebbene un tempo si sia addirittura dubitato sulla reale esistenza storica dei tre santi, la recente ricognizione dei resti sembra invece confermare l’antica tradizione tramandataci dalla Chiesa e dall’affetto popolare.
Nonostante la maggior rilevanza dei festeggiamenti per San Nicola da Tolentino, come dice il detto “se fa tutto per Nicò e niente per Catè”, San Catervo e la sua famiglia conservano comunque un posto speciale nel cuore di tutti i tolentinati.
Un’improbabile leggenda piemontese attribuisce a questa Santa famiglia anche l’evangelizzazione della città di Tortona, di cui sarebbero stati i protomartiri, verso l’anno 68, quando appena giungevano sulle Alpi Cozie altri evangelizzatori quali Priscilla, Elia, Mileto, Marco e Quinto Metello, tutti sfuggiti alla persecuzione neroniana di quattro anni prima.
Il Massa, celebre agiografo della santità pedemontana, ricorda Catervio come un uomo ormai centenario. L’intera famiglia si prodigò con nell’evangelizzazione di Tortona, divenendo preziosi collaboratori del primo vescovo San Marciano o Marziano. Precedendolo nel versare il loro sangue per Cristo, divennero così i primi martiri della città e dell’intero Piemonte geograficamente inteso.
Questa versione è stata forse ideata per giustificare la presenza nella città piemontese di alcune reliquie dei Santi in questione.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Catervio, Severina e Basso, pregate per noi.

*San Clemente di Lodi - Presbitero (17 ottobre)

IV-V sec.
San Clemente di Lodi è un prete vissuto tra la fine del quarto secolo e l’inizio del quinto. Gli storici lo ritengono contemporaneo di San Bassiano, vescovo di Lodi.
Le più antiche testimonianze del culto su San Clemente risalgono al 1583.
La sua festa è stata fissata nel giorno 17 ottobre.

(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Clemente di Lodi, pregate per noi.

*Beato Contardo Ferrini - Laico (17 ottobre)

Milano, 5 aprile 1859 – Suna, Novara, 17 ottobre 1902
Contardo Ferrini nasce a Milano nel 1859. Ragazzo prodigio, a 17 anni consegue la licenza liceale, a 21 si laurea in giurisprudenza e, dopo un periodo di specializzazione a Berlino, a 24 insegna già diritto romano all'università di Pavia. Insegna poi a Messina e a Modena e nel 1894 torna a Pavia, dove resterà fino alla morte.
Studioso, giurista e ricercatore stimato, coltiva anche una forte spiritualità, che gli permetterà di distinguersi in un ambiente fortemente anticlericale.
Un atteggiamento che diventerà la sua principale forma di evangelizzazione: con questo «apostolato silenzioso» e il suo stile di vita, infatti, riuscirà a parlare di Dio anche ai lontani, agli indifferenti, agli atei.
Impegnato nella San Vincenzo e in altre attività caritative, per quattro anni è anche consigliere comunale di Milano, dove si batte per conservare l'insegnamento religioso nelle scuole primarie. È anche uno dei primi a sostenere il progetto di un'università cattolica in Italia.
Contrae il tifo bevendo a una fontana inquinata e muore a 43 anni, il 17 ottobre 1902, durante un periodo di vacanza a Suna, sul Lago Maggiore.
Pio XII lo proclama beato nel 1947. (Avvenire)
Etimologia: Contardo = duro in battaglia, dal tedesco
Martirologio Romano: A Suna presso il lago Maggiore, Beato Contardo Ferrini, che, nell’educare i giovani, con il suo esempio di fede e di vita cristiana andò ben oltre la scienza umana.
Sale cinematografiche, circoli cattolici, scuole, istituti, vie e piazze sono state in passato intitolate al suo nome, eppure oggi sembra piombato su di lui un ingiustificato silenzio.
La sua vita, abbastanza breve, interamente dedicata alla scienza, nello sforzo continuo di perfezionare se stesso, non presenta tratti miracolistici ed eclatanti, eppure un Papa che gli era
stato amico, Pio XI, ha il coraggio di affermare che “parve quasi miracolo la sua fede e la sua vita cristiana, al suo posto e nei tempi nostri”.
Contardo Ferrini nasce nel 1859, in una Milano che è agitata da venti di guerra e sconvolta da furori patriottici.
A scuola brucia le tappe: a 17 anni consegue la licenza liceale, a 21 si laurea in giurisprudenza e diventa in fretta uno dei giuristi più affermati e uno dei maggiori romanisti del suo tempo.
Il ragazzo prodigio, dopo un periodo di specializzazione a Berlino, a 24 anni è già insegnante di diritto romano nell’università di Pavia, dove tutti cominciano ad ammirarne la preparazione, la competenza e la serietà.
Insegna poi a Messina e a Modena e nel 1894 fa ritorno a Pavia, dove resta fino alla morte.
Quasi duecento suoi scritti testimoniano la passione del ricercatore e il rigore dello scienziato e uno dei suoi testi sul diritto penale è stato per parecchi anni testo fondamentale per allievi e studiosi.
Ma, oltre alla passione per la scienza, il professore illustre si “specializza” nell’amicizia con Dio, con la spiritualità di un contemplativo e l’ardore di un santo.
La sua epoca è contrassegnata dalla massoneria, dall’anticlericalismo e dalla corruzione dei costumi e il “professore”vive in essa senza lasciarsi contaminare.
Non si sente chiamato all’apostolato attivo: a lui basta offrire la testimonianza di una vita limpida, intessuta di preghiera, condita di dolcezza ed umiltà.
E l’efficacia di questo “apostolato silenzioso” la testimoniano gli atei, i “lontani” e gli indifferenti, che mentre attestano che mai Contardo ha fatto proselitismo o tentato “conversioni”, tuttavia sempre “lascia intravedere Dio” con il suo comportamento e il suo stile di vita.
Impegnato nella San Vincenzo e in altre attività caritative, per quattro anni è anche consiglier e
comunale di Milano, dove si batte per conservare l’insegnamento religioso nelle scuole primarie.
É anche uno dei primi a sostenere il progetto di un’università cattolica in Italia e per questo l’Università Cattolica del sacro Cuore, nata dopo la sua morte, riconosce in lui il precursore e l’ispiratore.
Contrae il tifo bevendo a una fontana inquinata e muore a 43 anni, il 17 ottobre 1902, durante un periodo di vacanza a Suna, sul Lago Maggiore.
Una insistente e duratura fama di santità circonda subito il “professore” che aveva dimostrato come sia possibile coniugare la fede con la ricerca scientifica, la preghiera con l’impegno socio-politico, le convinzioni cattoliche con il rispetto delle idee altrui.
Pio XII lo proclama Beato nel 1947, indicando in lui “il modello dell’uomo cattolico dei nostri giorni”.
Un buon esempio per tutti, dunque. Anche a più di cent’ anni di distanza.
(Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Contardo Ferrini, pregate per noi.

*Beato Domenico Navarro - Mercedario (17 ottobre)

Mercedario del convento di Sant'Eulalia in Gerona Spagna, il Beato Domenico Navarro, fu inviato per redenzione a Tunisi in Africa.
Arrivato in terra mussulmana venne catturato dai mori e spogliato dei beni della redenzione, rimase per 16 mesi in dura servitù come ostaggio per un tale cristiano la cui fede era in pericolo.
Infine liberato tornò in patria dove morì santamente nel suo convento di Gerona.
L'Ordine lo festeggia il 17 ottobre.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Domenico Navarro, pregate per noi.

*San Dulcidio - Vescovo (17 ottobre)

Martirologio Romano: Ad Agen in Aquitania, ora in Francia, San Dulcedio, vescovo, che difese tenacemente la fede cattolica contro l’eresia ariana.
San Dulcidio (lat. Dulcidius, Dulcidus, Dulcius; fr. Dulcide), vescovo di Agen
Secondo un antico breviario di Agen, sarebbe stato designato da San Febadio per succedergli sul seggio episcopale di questa città: viveva dunque nel sec. V.
Gli si attribuisce l'erezione della basilica in onore di San Caprasio e di San Fede. Le sue reliquie sono state salvate dalla distruzione e trasferite dal priorato di Chamberet (attualmente nella diocesi di Tulle), nella chiesa parrocchiale del villaggio inuna magnifica cassa sulla quale una placca smaltata rappresenta la sua sepoltura.
Nel linguaggio popolare Dulcidio è chiamato pure Doucet, Doucis, Doux, Dulcet.
Si festeggia il 17 ottobre.
(Autore: Charles Vens – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Dulcidio, pregate per noi.

*Santi Etelredo ed Etelberto - Principi del Kent, Martiri (17 ottobre)

+ Eastry, Inghilterra, 670 circa
Erano figli di Ermenred, fratello di Erconbert, re del Kent (m. 644). Alla morte di quest'ultimo, gli succedette sul trono il figlio Egbert, ma sembra che Etelredo ed Etelberto potessero legittimamente avanzare pretese alla successione.
A quanto afferma Matteo di Westminster (ma non è certo) Ermenred, loro padre, sarebbe stato soppiantato sul trono dal più giovane fratello Erconbert, per cui le pretese dei due giovani nei confronti del cugino avrebbero avuto un certo fondamento: ciò sembra confermato dal fatto che, nella Cronaca Sassone, Ermenred viene nominato prima di Ercombert.
Con la connivenza del re Egbert, un suo ministro, Thunre, fece uccidere Etelredo ed Etelberto che si trovavano ad Eastry. Un dettagliato e leggendario racconto di tale assassinio è contenuto nei Gesta Regum Anglorum di Simeone di Durham.
Non è possibile determinare l'età dei due fratelli al tempo della loro morte, ossia verso il 670. Generalmente vengono chiamati infantuli o adolescentes, ma sembra, con ogni probabilità, che tale età vada aumentata, anche in considerazione del fatto che Ermenburga, loro sorella, andò sposa nel 660 a Merewald re degli West-Hecani.
I due giovani vennero sepolti segretamente nel palazzo reale, ma, secondo Simeone di Durham, una misteriosa colonna di luce rivelò il luogo della loro tomba, per cui l'assassinio venne scoperto. Allora la sorella, Ermenburga, pretese dal re Egbert il guidrigildo, secondo i costumi sassoni, e la punizione dell'assassino.
Il termine con cui si indicava il guidrigildo dei nobili (dear-born) è probabilmente all'origine dell'antica leggenda della corsa della cerva (in inglese deer): si narra infatti che Egbert avesse promesso ad Ermenburga di concederle come guidrigildo tanta terra quanta una cerva ne avrebbe percorso in un giorno in un giorno nell'isola di Thanet. Ermenburga, che era appoggiata nelle sue richieste anche da San Teodoro, arcivescovo di Canterbury, e da Adriano, abate di S. Agostino, acconsentì a tale soddisfazione. Si portarono quindi nell'isola di Thanet e con tutta la corte seguirono la corsa della cerva.
Sopraggiunse allora il ministro assassino, il quale, esortato il re a non farsi intimidire e a non cedere, inseguì la cerva per fermarla, ma avventuratosi col suo cavallo in una palude, fu sommerso prima che
si potesse accorrere in suo aiuto. Guglielmo di Malmesbury (De Gestis Pontificum Anglorum, IV) giunge ad affermare che l'assassino "subito telluris hiatu absorptus, videns et vivens intravit infernum" (!).
Ermenburga destinò il territorio ricevuto nell'isola di Thanet alla costruzione del monastero conosciuto poi col nome di Minster in Thanet, le cui fondazioni vennero ben presto consacrate da San Teodoro e nel quale essa stessa, rimasta vedova, prese il velo, divenedone badessa.
Etelredo ed Etelberto, vennero considerati come martiri, quantunque il loro assassinio non possa, in verità, essere qualificato come martirio. I corpi dei due giovani sarebbero stati sepolti nel monastero di Wakering, che Simeone di Durham dice famisissimum, ma l'unica località di tal nome che si conosca si trova nell'essex, nei pressi di Shoeburyness, e non vi si trovano tracce di alcun monastero.
Qualcuno avanza l'ipotesi che la traslazione a Wakering, ossia fuori del regno, non sia avvenuta immediatamente, ma solo verso l'854, al tempo dell'invasione dei Danesi, allorché si combatté a Sandwich, nei pressi di Eastry. Altri, invece, rilevano come non sia impossibile pensare ad una divisione delle reliquie; Guglielmo di Malmesbury, infine, ignora completamente tale traslazione a Wakering. I loro corpi furono quindi traslati "celebri pompa", alla fine del sec. X, nella abbazia di Ramsey. Forse l'uccisione di Sant’ Edoardo, nel 978, dette occasione al rifiorire della leggenda dei due giovani, provocando la loro definitiva traslazione.
Probabilmente in tale epoca fu composta l'anonima passio giunta a noi, attribuita da alcuni al monaco Goscelino, e ripresa poi nelle opere storiche di Simeone di Durham e di Guglielmo di Malmesbury. La loro memoria viene celebrata al 17 ottobre, anniversario della traslazione dei loro corpi a Ramsey.
(Autore: Gian Michele Fusconi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Etelredo ed Etelberto, pregate per noi.

*Beato Fedele Fuidio Rodriguez - Marianista, Martire Spagnolo (17 ottobre)

Yécora, Alava, 24 aprile 1880 - 17 ottobre 1936
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Ciudad Real in Spagna, Beato Fedele Fuidio Rodríguez, religioso della Società di Maria e martire, che, in tempo di persecuzione contro la fede, fucilato passò al Signore. Fidel venne alla luce a Yécora, in provincia di Alava, ultimogenito di sette figli, il 24 aprile 1880.
Alcuni mesi dopo la sua nascita, la famiglia si trasferì a Vitoria, dove aprì un piccolo esercizio commerciale.
Qui Fidel trascorse la sua fanciullezza spensierata, frequentando la parrocchia, dove faceva il chierichetto, e l'Accademia Apollinare, il meglio che la città potesse offrire in fatto di scuola elementare.
I suoi genitori, che riponevano in lui, unico maschio dopo la morte del primo, le migliori speranze per il futuro della famiglia, erano intenzionati a fargli continuare gli studi.
Ma dove? ma come? Fu allora Fidel stesso a manifestare il desiderio di frequentare la scuola-convitto che i marianisti avevano da poco aperto a Vitoria.
Il direttore accettò di buon grado quel ragazzino spontaneo e vivace e, poiché i coniugi Fuidio non potevano sostenere l'intera retta del convitto, lo ammise tra i postulanti, a tariffa ridotta.
Dopo il primo anno di postulato a Vitoria, fu inviato a Pontacq (Francia), dove trascorse tre anni, superando non poche difficoltà di adattamento, senza mai rivedere i suoi. Nel 1896, all'età di sedici anni, fu ammesso al noviziato, e l'8 settembre del 1897 emise i suoi primi voti nella Società di Maria.
Al termine degli anni di studentato, conseguito presso l'Istituto di Vitoria il diploma di baccellierato, iniziò con entusiasmo la sua missione di insegnante, che esercitò come professore di
latino e di storia in vari collegi marianisti di Spagna: Jerez de la Frontera, Cadice, Madrid (1910-1933) e Ciudad Real. Educatore nato, sapeva comunicare ai propri alunni l'entusiasmo che egli stesso nutriva per la ricerca e per l'insegnamento.
Come religioso, fratel Fidel era scrupolosamente osservante dei propri doveri, sempre pronto ad aiutare i confratelli, eccellente catechista e, dotato di una bella voce, particolarmente attento e interessato a preparare con cura le solenni liturgie festive. Amava molto il suo Istituto e nutriva una spiccata devozione alla santa Vergine.
Nel 1933, i Superiori, avendo ritenuto essere rischiosa la sua presenza a Madrid, dove era molto conosciuto, lo inviarono a Ciudad Real (capitale della Mancia) che consideravano città più tranquilla e sicura.
Qui continuò la sua attività di insegnante sia nel collegio marianista, sia, cosa più unica che rara per un religioso, in una scuola statale laica.
Il 25 luglio del 1936 fu però costretto ad abbandonare il collegio marianista, che era stato requisito dalla “Guardia Civile”, e trovò alloggio presso una locanda.
Il 17 agosto successivo, durante una delle ormai frequenti perquisizioni degli anarco-sindacalisti armati, sorpreso con il crocifisso al collo, fu condotto nella prigione del Governatorato Civile (Prefettura).
Trascorse il tempo della sua detenzione come una preparazione alla morte, senza peraltro perdere il
suo abituale buon umore e la gioia di vivere, che dava non poco conforto ai suoi compagni di sventura, mentre si dichiarava pronto a “dare la vita per la fede”.
Il 15 ottobre, al termine di un regolare processo, fu dichiarato innocente e rimesso in libertà.
Ma, prima di lasciare la prigione, venne letteralmente rapito da un drappello di miliziani facinorosi e rinchiuso nella “Casa del popolo”, dalla quale fu prelevato nella notte tra il 16 e il 17 ottobre, trasportato con altri prigionieri al famigerato Carriòn de Calatrava e quivi fucilato.
Il suo corpo esanime, insieme a quello delle altre vittime del furore omicida anticristiano, fu gettato nel tristemente celebre pozzo di Carriòn, dove rimase per ben ventiquattro anni, prima di avere sepoltura in una fossa comune nella celebre ‘Valle de los Caidos’.
Il suo ritratto compare assieme a quello di altri martiri nel mosaico della cupola della grandiosa basilica sotterranea di tale località.
(Fonte: Osservatore Romano del 1° ottobre 195, pag. 10).
Giaculatoria - Beato Fedele Fuidio Rodriguez, pregate per noi.

*San Fiorenzo di Orange - Vescovo (17 ottobre)

Martirologio Romano: A Orange in Provenza in Francia, San Fiorenzo, vescovo.
San Fiorenzo nasce a Tour nel sesto secolo dopo Cristo e diventa Vescovo di Orange (Francia).
Partecipò al Concilio di Epaone nel 517 e a quello provinciale di Arles nel 524.
Al concilio di Arles del 527 assistè il suo successore.
Durante il suo pellegrinaggio a Roma si ferma a Fiorenzuola d'Arda (PC) dove opera lo straordinario miracolo di richiamare in vita una bambina defunta.
La sua Vita merita poco affidamento e somiglia molto a quella di Verano, vescovo di Cavaillon.
Figura nel Martirologio Romano al 17 ottobre ma il suo culto non sembra anteriore al sec. XIV.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Fiorenzo di Orange, pregate per noi.

*Beato Giacomo Burin - Sacerdote e Martire (17 ottobre)
Scheda del gruppo a cui appartiene:

“Beati Martiri di Laval Vittime della Rivoluzione Francese”
Champfleur, Francia, 6 gennaio 1756 – Laval, Francia, 17 ottobre 1794
Esercitò clandestinamente il ministero sacerdotale durante la Rivoluzione Francese, fino ad essere assassinato mentre celebrava la Santa Messa.
Martirologio Romano: Nel territorio di Laval sempre in Francia, Beato Giacomo Burin, sacerdote e martire, che si adoperò molto durante la rivoluzione francese nell’esercizio clandestino del ministero pastorale e, fuggendo di casa in casa dall’orda dei suoi persecutori, morì alla fine fucilato con il calice tra le mani.
Jacques Burin, sacerdote della diocesi di Le Mans, fa parte del gruppo di 19 martiri di Laval beatificati il 19 giugno 1955. Era nato a Champfleur, in Francia, il 6 gennaio 1756 ed allo scoppio della Rivoluzione Francese era parroco di Saint-Martin-de-Connée.
Il 20 febbraio 1791 accettò in buona fede di prestare il giuramento richiestogli, con la clausola che fossero salvaguardati i diritti del Papa. Quando però venne a sapere che il pintefice Pio VI aveva condannato la costituzione civile del clero, anche la riserva che egli aveva posta non gli sembrò più sufficiente, motivo per cui, onde evitare lo scandalo, decise di leggere pubblicamente in chiesa la bolla papale.
Questo coraggioso gesto gli valse l’arresto, ma grazie ad accorgimenti del suo avvocato difensore riuscì a riottenere la libertà.
Fu tuttavia costretto a vivere per circa tre anni lontano dalla sua parrocchia, fingendosi mercante ambulante pur di continuare ad esercitare il suo ministero ove veniva a trovarsi. La legge del 18
maggio 1793 comminava la pena di morte a tutti quei sacerdoti soggetti alla deportazione che venivamo trovati sul territorio della Repubblica.
In quel tempo a Courcité viveva la famiglia Lemagre, composta da tre ragazze e due giovani. Uno di essi comandava la colonna mobile di Evron, mentre due delle ragazze, patriote esaltate, odiavano indistintamente tutti i sacerdoti che non avevano giurato e vivevano nascosti.
Un giorno costoro, fingendo di volersi convertire, chiesero alla vecchia domestica del parroco di Trans se esistesse nella zona un sacerdote clandestino disposto a confessarle. La vecchietta ingenuamente ne parlò al Burin, in quel periodo nascosto a Loupmgèrcs.
Il sacerdote, senza nulla sospettare, il 17 ottobre 1794 si recò in una fattoria nei pressi della parrocchia di Courcité per raggiungerla l’indomani.
Il fattore tentò di dissuaderlo dall’impresa, data la presenza in quel paese della colonna mobile di Evron, ma il sacerdote gli rispose convinto: “Devo andare, vi sono anime da salvare”.
Durante la notte piombò all’improvviso nella fattoria una squadra della colonna mobile. Si avvicinava la fine. Il fattore svegliò il Burin che cercò di fuggire, ma fu scorto presso un pagliaio da due soldati e dunque ucciso a colpi di fucile.
Gli si precipitarono quindi sopra e lo trovarono con il calice stretto al petto. Al colmo della gioia uno dei soldati baciò l’arma, mentre altri bevettero in quel calice. La vittima fu poi denudata e gettata sopra un letamaio.
Soltanto la notte seguente alcune persone, impietosite, diedero onorata sepoltura alle spoglie del glorioso martire.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giacomo Burin, pregate per noi.

*Beato Gilberto di Citeaux - Abate (17 ottobre)

Martirologio Romano: A Tolosa sempre in Francia, anniversario della morte del Beato Gilberto, abate di Cîteaux, che, di origine inglese, fu uomo di alta scienza e difese San Tommaso Beckett in esilio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Gilberto di Citeaux, pregate per noi.

*San Giovanni - Eremita (17 ottobre)

Martirologio Romano: Ad Asyūţ in Egitto, San Giovanni, eremita, che, tra i tanti segni di virtù, fu insigne anche per lo spirito di profezia.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni, pregate per noi.

*Beato Giovanni de Zamora - Mercedario (17 ottobre)

XVI secolo
Valoroso missionario del Cile, il Beato Giovanni de Zamora, battezzò 4000 indigeni e nell'anno 1566, ricostruì il convento mercedario di Assunción, distrutto da quei bellicosi popoli nel 1564.
Per il nome di Cristo fu trafitto dalle frecce indigene ma miracolosamente risanato, morì come confessore glorioso per i meriti e i miracoli.
Fu sepolto vicino al convento dell'Ordine dove sulla cui tomba fiorì un roseto bianco e rosso.
L'Ordine lo festeggia il 17 ottobre.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Giovanni de Zamora, pregate per noi.

*Sant'Ignazio di Antiochia - Vescovo e Martire (17 ottobre)

m. 107 circa
Fu il terzo vescovo di Antiochia, in Siria, città che fu la terza metropoli del mondo antico - dopo Roma e Alessandria d'Egitto - e di cui san Pietro stesso era stato il primo vescovo.
Non era cittadino romano, e pare che non fosse nato cristiano, convertendosi in età non più giovanissima.
Mentre era vescovo ad Antiochia, l'Imperatore Traiano dette inizio alla sua persecuzione. Arrestato e condannato, Ignazio fu condotto, in catene, da Antiochia a Roma dove si allestivano feste in onore dell'Imperatore e i cristiani dovevano servire da spettacolo, nel circo, sbranati dalle belve. Durante il viaggio da Antiochia a Roma, Ignazio scrisse sette lettere, in cui raccomandava di fuggire il peccato, di guardarsi dagli errori degli Gnostici, di mantenere l'unità della Chiesa.
Di un'altra cosa poi si raccomandava, soprattutto ai cristiani di Roma: di non intervenire in suo favore e di non salvarlo dal martirio.
Nell'anno 107 fu dunque sbranato dalle belve verso le quali dimostrò grande tenerezza. «Accarezzatele "scriveva" affinché siano la mia tomba e non faccian restare nulla del mio corpo, e i miei funerali non siano a carico di nessuno». (Avvenire)
Etimologia: Ignazio = di fuoco, igneo, dal latino
Emblema: Bastone pastorale, Palma
Martirologio Romano: Memoria di sant’Ignazio, vescovo e martire, che, discepolo di san Giovanni Apostolo, resse per secondo dopo san Pietro la Chiesa di Antiochia. Condannato alle fiere sotto l’imperatore Traiano, fu portato a Roma e qui coronato da un glorioso martirio: durante il viaggio, mentre sperimentava la ferocia delle guardie, simile a quella dei leopardi, scrisse sette lettere a Chiese diverse, nelle quali esortava i fratelli a servire Dio in comunione con i vescovi e a non impedire che egli fosse immolato come vittima per Cristo.
Dalla data del 1° febbraio, la memoria di Sant'Ignazio Martire è stata riportata ad oggi, data tradizionale del suo martirio, dal nuovo Calendario ecclesiastico, che la prescrive come obbligatoria
per tutta la Chiesa. Sant'Ignazio fu il terzo Vescovo di Antiochia, in Siria, cioè della terza metropoli del mondo antico dopo Roma e Alessandria d'Egitto.
Lo stesso San Pietro era stato primo Vescovo di Antiochia, e Ignazio fu suo degno successore: un pilastro della Chiesa primitiva così come Antiochia era uno dei pilastri del mondo antico. Non era cittadino romano, e pare che non fosse nato cristiano, e che anzi si convertisse assai tardi. Ciò non toglie che egli sia stato uomo d'ingegno acutissimo e pastore ardente di zelo. I suoi discepoli dicevano di lui che era "di fuoco", e non soltanto per il nome, dato che ignis in latino vuol dire fuoco. Mentre era Vescovo ad Antiochia, l'Imperatore Traiano dette inizio alla sua persecuzione, che privò la Chiesa degli uomini più in alto nella scala gerarchica e più chiari nella fama e nella santità.
Arrestato e condannato ad bestias, Ignazio fu condotto, in catene, con un lunghissimo e penoso viaggio, da Antiochia a Roma dove si allestivano feste in onore dell'Imperatore vittorioso nella Dacia e i Martiri cristiani dovevano servire da spettacolo, nel circo, sbranati e divorati dalle belve.
Durante il suo viaggio, da Antiochia a Roma, il Vescovo Ignazio scrisse sette lettere, che sono considerate non inferiori a quelle di San Paolo: ardenti di misticismo come quelle sono sfolgoranti di carità. In queste lettere, il Vescovo avviato alla morte raccomandava ai fedeli di fuggire il peccato; di guardarsi dagli errori degli Gnostici; soprattutto di mantenere l'unità della Chiesa.
D'un'altra cosa poi si raccomandava, scrivendo particolarmente ai cristiani di Roma: di non intervenire in suo favore e di non tentare neppure di salvarlo dal martirio.
"lo guadagnerei un tanto - scriveva - se fossi in faccia alle belve, che mi aspettano. Spero di trovarle ben disposte. Le accarezzerei, anzi, perché mi divorassero d'un tratto, e non facessero come a certuni, che han timore di toccarli: se manifestassero queste intenzioni, io le forzerei".
E a chi s'illudeva di poterlo liberare, implorava: "Voi non perdete nulla, ed io perdo Iddio, se riesco a salvarmi. Mai più mi capiterà una simile ventura per riunirmi a Lui. Lasciatemi dunque immolare, ora che l'altare è pronto! Uniti tutti nel coro della carità, cantate: Dio s'è degnato di mandare dall'Oriente in Occidente il Vescovo di Siria!".
Infine prorompeva in una di quelle immagini che sono rimaste famose nella storia dei Martiri: "Lasciatemi essere il nutrimento delle belve, dalle quali mi sarà dato di godere Dio. lo sono frumento di Dio. Bisogna che sia macinato dai denti delle belve, affinché sia trovato puro pane di Cristo".
E, giunto a Roma, nell'anno 107, il Vescovo di Antiochia fu veramente "macinato" dalle innocenti belve del Circo, per le quali il Martire trovò espressioni di una insolita tenerezza e poesia: "Accarezzatele, scriveva infatti, affinché siano la mia tomba e non faccian restare nulla del mio corpo, e i miei funerali non siano a carico di nessuno".

(Fonte: Archivio Parrocchia)

Giaculatoria - Sant'Ignazio di Antiochia, pregate per noi.

*Sant'Isidoro Gagelin - Sacerdote e Martire (17 ottobre)

Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Santi Martiri Vietnamiti (Andrea Dung Lac e 116 compagni)”
Montperreux, Francia, 10 maggio 1799 - Hue, Vietnam, 17 ottobre 1833

Martirologio Romano: A Huê in Annamia, ora Viet Nam, Sant’Isidoro Gagelin, sacerdote della Società per le Missioni Estere di Parigi e martire, strangolato per Cristo sotto l’imperatore Minh M?ng.
Nato a Montperreux (diocesi di Besancon) il 10 magg. 1799, entrò nel 1817 nel seminario diocesano e due anni dopo fu accolto in quello delle Missioni Estere di Parigi. Ne uscì suddiacono il 24 magg. 1819 per raggiungere la Missione dell'Annam.
Ordinato sacerdote noi 1822, fu destinato professore nel collegio di Phuong-Ru, dove potè accompagnare l'insegnamento delle scienze sacre con l'attività missionaria, diretta a rinvigorire il fervore religioso, sovente illanguidito, dei cristiani.
Intanto il re Minh-Mang chiamò a corte i missionari per servirsi delle loro cognizioni scientifiche; in realtà perché voleva sottrarli all'apostolato e staccarli dai fedeli. Il Gagelin vi andò, compì gli incarichi affidatigli, ma rinunciò alla carica di mandarino per ritornare alla sua libertà di apostolato.
Ma già nel 1833 compariva il primo editto di persecuzione ed egli fu consigliato di nascondersi fra le popolazioni della montagna.
Accettò, ma poi, vedendo le sventure piombate sui cristiani e l'apostasia dei più deboli, decise di andare incontro ai persecutori, affinché gli altri fossero risparmiati. Presentatosi pertanto al mandarino di Bong-Song nella provincia di Binh-Dinh (23 agosto 1833), dopo alcuni giorni di rigorosa prigionia, fu spedito a Hué, le spalle gravate dalla canga, e il 17 ottobre seguente strangolato nel sobborgo di Bai-Dau.
Fu concesso che il corpo fosse trasportato a Phu-Cam, dove fu sepolto nel giardino di una casa cristiana. Il re, tuttavia, non si sentiva tranquillo, perché sapeva che Gesù, tre giorni dopo la sepoltura, era risorto, e temeva che il missionario facesse altrettanto.
Fece quindi disseppellire il cadavere per assicurarsi della sua presenza, e poi lo fece di nuovo sotterrare, ingiungendo agli abitanti di sorvegliare la tomba: semmai il missionario fosse in seguito risuscitato, avrebbero pagato con la loro testa.
Nel 1846 le reliquie furono raccolte e portate a Parigi nel seminario delle Missioni Estere. Fu beatificato da Leone XIII il 27 maggio 1900.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Isidoro Gagelin, pregate per noi.

*Santa Margherita Maria Alacoque - Vergine (17 ottobre e 16 ottobre)
Verosvres, Autun, Francia, 1647 - Paray-le-Monial, 17 ottobre 1690

Nata in Borgogna nel 1647, Margherita ebbe una giovinezza difficile, soprattutto perché dovette vincere la resistenza dei genitori per entrare, a ventiquattro anni, nell'Ordine della Visitazione, fondato da San Francesco di Sales.
Margherita, diventata suor Maria, restò vent'anni tra le Visitandine, e fin dall'inizio si offrì «vittima al Cuore di Gesù».
Fu incompresa dalle consorelle, malgiudicata dai superiori.
Anche i direttori spirituali dapprima diffidarono di lei, giudicandola una fanatica visionaria.
Il Beato Claudio La Colombière divenne preziosa guida della mistica suora della Visitazione, ordinandole di narrare, nell'autobiografia, le sue esperienze ascetiche.
Per ispirazione della santa, nacque la festa del Sacro Cuore, ed ebbe origine la pratica dei primi Nove Venerdì del mese. Morì il 17 ottobre 1690. (Avvenire)
Etimologia: Margherita = perla, dal greco e latino
Emblema: Giglio
Martirologio Romano: Santa Margherita Maria Alacoque, vergine, che, entrata tra le monache dell’Ordine della Visitazione della Beata Maria, corse in modo mirabile lungo la via della perfezione; dotata di mistici doni e particolarmente devota al Sacratissimo Cuore di Gesù, fece molto per promuoverne il culto nella Chiesa.
A Paray-le-Monial nei pressi di Autun in Francia, il 17 ottobre, si addormentò nel Signore.
(17 ottobre: A Paray-le-Monial nel territorio di Autun in Francia, transito di santa Margherita Maria Alacoque, vergine, la cui memoria si celebra il giorno precedente a questo).
La memoria di Santa Margherita Maria Alacoque, francese, è legata alla diffusione della devozione del Sacro Cuore, una devozione tipica dei tempi moderni, e promossa infatti soltanto tre secoli fa,
quando soffiò sulla Francia il vento gelido del Giansenismo, foriero della tormenta dell'Illuminismo.
All'origine della devozione al Cuore di Gesù si trovano due grandi Santi: Giovanni Eudes e Margherita Maria Alacoque.
Del primo abbiamo già parlato il 19 agosto.
Dicendo come questo moschettiere dell'amore di Gesù e Maria fosse il primo e più fervido propagatore del nuovo culto.
Santa Margherita Maria Alacoque, da parte sua, fu colei che rivelò in tutta la loro mirabile profondità i doni d'amore dei cuore di Gesù, traendone grazie strepitose per la propria santità, e la promessa che i soprannaturali carismi sarebbero stati estesi a tutti i devoti del Sacro Cuore.
Nata in Borgogna nel 1647, Margherita ebbe una giovinezza difficile, soprattutto perché non le fu facile sottrarsi all'affetto dei genitori, e alle loro ambizioni mondane per la figlia, ed entrare, a ventiquattro anni, nell'Ordine della Visitazione, fondato da San Francesco di Sales.
Margherita, diventata suor Maria, restò vent'anni tra le Visitandine, e fin dall'inizio si offrì" vittima al Cuore di Gesù".
In cambio ricevette grazie straordinarie, come fuor dell'ordinario furono le sue continue penitenze e mortificazioni sopportate con dolorosa gioia. Fu incompresa dalle consorelle, malgiudicata dai Superiori.
Anche i direttori spirituali dapprima diffidarono di lei, giudicandola una fanatica visionaria. "Ha bisogno di minestra", dicevano, non per scherno, ma per troppo umana prudenza.
Ci voleva un Santo, per avvertire il rombo della santità.
E fu il Beato Claudio La Colombière, che divenne preziosa e autorevole guida della mistica suora della Visitazione, ordinandole di narrare, nella Autobiografia, le sue esperienze ascetiche, rendendo pubbliche le rivelazioni da lei avute.
"Ecco quel cuore che ha tanto amato gli uomini", le venne detto un giorno, nel rapimento di una visione.
Una frase restata quale luminoso motto della devozione al Sacro Cuore.
E poi, le promesse: "Il mio cuore si dilaterà per spandere con abbondanza i frutti del suo amore su quelli che mi onorano". E ancora:" I preziosi tesori che a te discopro, contengono le grazie santificanti per trarre gli uomini dall'abisso di perdizione ".
Per ispirazione della Santa, nacque così la festa del Sacro Cuore, ed ebbe origine la pratica pia dei primi Nove Venerdì del mese.
Vinta la diffidenza, abbattuta l'ostilità, scossa la indifferenza, si diffuse nel mondo la devozione a quel Cuore che a Santa Margherita Alacoque era apparso " su di un trono di fiamme, raggiante come sole, con la piaga adorabile, circondato di spine e sormontato da una croce". É l'immagine che appare ancora in tante case, e che ancora protegge, in tutto il mondo, le famiglie cristiane.
(Autore: Piero Bargellini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Margherita Maria Alacoque, pregate per noi.

*Beate Maria Natalia di San Ludovico (Maria Ludovica Giuseppa) Vanot e 4 Compagne - Martiri (17 0ttobre)
Scheda del gruppo a cui appartengono:

“Beate Martiri Orsoline di Valenciennes”
+ Valenciennes, Francia, 17 ottobre 1794
Martirologio Romano: A Valencienne ancora in Francia, Beata Maria Natalia di San Luigi (Maria Luisa Giuseppa) Vanot e quattro compagne, vergini dell’Ordine delle Orsoline e martiri, che, condannate a morte durante la rivoluzione francese in odio alla fede cattolica, salirono il patibolo recitando il salmo Miserere.
L'episodio del massacro delle orsoline di questa città s'inquadra nella storia del Terrore scoppiato nella diocesi di Cambrai (nord Francia) durante la rivoluzione francese.
Tutto cominciò il 30 settembre 1790. Quel giorno i commissari della municipalità di Valenciennes, in ottemperanza al decreto della Costituente, si presentarono al convento delle orsoline per fare l'inventario dei beni della comunità e chiedere alle suore se avevano l'intenzione di perseverare nella loro vocazione.
Le suore erano allora trentadue e la loro superiora era m. Clotilde Paillot, che era stata eletta il 13 febbraio precedente. La loro risposta fu unanime: intendevano restare orsoline votate all'educazione delle giovinette della città. Per un paio d'anni le cose andarono avanti confusamente, e nonostante intralci di ogni genere, la comunità riuscì a sopravvivere.
Ma la posizione strategica della città, al centro della zona di frontiera, avrebbe finito, nel corso delle alterne vicende della guerra che allora si combatteva fra la Francia e il resto d'Europa, per aggravare enormemente la loro situazione.
Il 13 settembre 1792 Valenciennes fu assediata dalle truppe nemiche e il 17 successivo le orsoline, essendo i loro locali requisiti dai difensori della città, furono costrette a riparare presso le consorelle di Mons in Belgio, da cui erano venute le fondatrici nel 1654. Quand'ecco che il 6 novembre le truppe francesi, vincitrici della battaglia di Jammapes, occuparono Mons, col risultato che le orsoline, qualche settimana dopo, dovettero nuovamente sloggiare.
Ma la loro occupazione di Mons non durò a lungo. Sconfitte nella battaglia di Neerwinden, le truppe fran­cesi la evacuarono il 21 mar 1793. Il 29 luglio era la volta di Valenciennes a essere da loro abbandonata. Le orsoline di Valenciennes potevano ora pensare a fare ritorno nella loro città. Gli austriaci, padroni della città, incoraggiavano infatti la ricostituzione delle comunità.
Quando le orsoline di Valenciennes rimisero piede nella loro casa, iniziando subito a ricostituirla, essendo stata saccheggiata, era l'11 novembre.
L'attività delle suore non tardò a riprendere in tutta la sua intensità, tanto che il 29 aprile 1794 avevano luogo nel loro convento una professione e una vestizione. Senonché il 26 giugno le truppe francesi ottennero una grande vittoria a Fleurus e il 26 ago. gli austriaci si ritirarono da Valenciennes.
Alcune suore restarono nel convento con la m. Clotilde e furono arrestate il 1° settembre e tenute prigioniere nelle loro stesse stanze. Le altre furono subito ricercate e infine arrestate insieme con numerosi altri sospetti. Il rappresentante della Convenzione era allora un certo Giovanni Battista Lacoste, uno dei personaggi più ripugnanti di quest'epoca. Diversamente dal suo collega Lebon ex oratoriano, era stato giudice di pace ed avrebbe concluso la sua carriera tranquillamente come prefetto dell'impero.
La sua grande ansia era di poter disporre sul posto di una ghigliottina, che era divenuta per lui una vera ossessione. Suo malgrado non poté riceverne una se non il 13 ottobre A questa data, il colpo di Stato del 9 termidoro (27 luglio 1794) era già avvenuto, ma lui, approfittando della vacanza del potere, non volle tenerne conto e il 14 ottobre fece erigere la sinistra macchina e quello stesso giorno 5 condannati furono giustiziati. Il 15 ottobre alle nove della sera, 116 prevenuti furono riuniti nel municipio e messi a disposizione del tribunale costituito illegalmente da Lacoste. Particolarmente numerosi erano i preti e le religiose: le ragioni per cui li si voleva condannare erano occultate sotto accuse di tradimento ed emigrazione.
I prigionieri si trovavano ammucchiati in condizioni igieniche incredibili e per di più promiscuamente, per cui molte suore poterono approfittarne per confessarsi e comunicarsi. Le prime orsoline a comparire davanti al tribunale, il 17 ottobre insieme con tre preti refrattari, furono: Maria Luisa Giuseppe Vanot, nata a Valenciennes il 12 giugno 1728, professa il 31 agosto 1749 col nome di Sr. Maria Natalia Giuseppe di S. Luigi; Giovanna Regina Prin, nata a Valenciennes il 9 luglio 1747, professa il 28 aprile 1767 col nome di Sr. Maria Lorenzina Giuseppe Regina di S. Stanislao; Agostina Gabriella Bourla, nata il 6 ottobre 1746 e Maria Genoveffa Ducrez, nata il 27 settembre 1756: tutte e due di Condé (dipart. del Nord), professe insieme il 28 aprile 1779 con i nomi rispettivamente di Sr. Maria Orsola Giuseppe di San Bernardino e di Sr. Maria Luisa Giuseppe di San Francesco (il 31 agosto 1794 erano partite per Condé, dove erano state arrestate e rispedite a
Valenciennes); l'ultima era Sr. Maria Maddalena Giuseppe Déjardin, nata a Cambrai l'11 giugno 1760, professa il 22 agosto 1781 col nome di Sr. Maria Agostina Giuseppe del S. Cuore di Gesù.
Furono ghigliottinate quello stesso giorno. Il secondo gruppo di religiose subì il martirio il 23 ottobre 1794: m. Clotilde fu ghigliottinata per prima: ricorreva il trentottesimo anniversario della sua professione. Era nata il 25 novembre 1739 a Bavay ed era stata battezzata in pari data col nome di Clotilde Giuseppe. In religione aveva assunto quello di Sr. Maria Clotilde Giuseppe di S. Francesco Borgia.
Nel 1789 era stata nominata consigliera; il 13 febbraio 1790 era stata eletta superiora e il 26 novembre 1793 confermata in questa carica. Le altre furono: Laura Margherita Giuseppe Leroux, nata il 14 luglio 1749 a Cambrai, professa tra le orsoline il 9 ago. 1775 col nome di Sr. Maria Scolastica Giuseppe di San Giacomo: era stata arrestata la notte dal 31 ago. al 1° settembre, allo stesso tempo di sua sorella Anna Giuseppa, spesso chiamata Giuseppina, nata il 23 gennaio 1747 a Cambrai, professa il 10 maggio 1769 tra le Clarisse urbaniste di Valenciennes, e due brigidine, che erano state arrestate insieme nella notte dal 4 al 5 settembre, nate tutte e due a Pont-sur-Sambre, Maria Livia Lacroix il 24 marzo 1753, Maria Agostina Erraux il 20 ottobre 1762: erano passate dal convento delle brigidine di Valenciennes, dove portavano i nomi di Anna Maria Giuseppe e di Livia, al convento delle orsoline di Valenciennes, che le avevano accolte Livia col nome di m. Francesca.
Ultima, una conversa, Giovanna Luisa Barré, nata il 23 aprile 1750, a Sailly-en-Ostrevent (diocesi di Arras), professa tra le orsoline il 20 gennaio 1777 col nome di Sr. Maria Cordola Giuseppe di S. Domenico. Bisogna sottolineare l'aspetto di testimonianza data dalle 11 religiose in occasione del processo che le mandò a morte.
La priora Clotilde Paillot diede ai giudici risposte degne dei martiri della Chiesa primitiva e manifestamente ispirate dallo Spirito Santo. Condanna­te alla ghigliottina, le suore si tagliarono esse stesse i capelli e si sguarnirono gli abiti intorno al collo perché la mannaia potesse far meglio la sua opera.
Ansiose di far conoscere il loro perdono ai persecutori, giunsero a baciare le mani dei carnefici. Tale era l'ardore che spingeva queste religiose al martirio, che Sr. Déjardin cercò invano di precedere le altre sui gradini del patibolo. Le 11 religiose ghigliottinate a Valenciennes sono state beatificate da Benedetto XV il 13 giugno 1920 assieme a 4 Figlie della Carità di Arras.
La causa era stata introdotta il 29 maggio 1907, la dichiarazione di martirio e la dispensa dai miracoli sono del 6 luglio 1919, il decreto de tuto reca la data del 29 febbraio 1920. La loro festa è stata fissata il 17 ottobre Esse attendono ora la canonizzazione.
(Autore: Raymond Darricau – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beate Maria Natalia di San Ludovico Vanot e 4 Compagne, pregate per noi.

*Santi Martiri Bolitani (Volitani) (17 ottobre)

sec. III
Martirologio Romano: In Africa proconsolare, nell’odierna Tunisia, santi martiri Volitani, che Sant’Agostino celebrò in un suo sermone.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Martiri Bolitani, pregate per noi.

*Beate Martiri Orsoline di Valenciennes (17 ottobre)

+ Valenciennes, Francia, 17/23 ottobre 1794
L'episodio del massacro delle orsoline di questa città s'inquadra nella storia del Terrore scoppiato nella diocesi di Cambrai (nord Francia) durante la rivoluzione francese. Tutto cominciò il 30 settembre 1790.
Quel giorno i commissari della municipalità di Valenciennes, in ottemperanza al decreto della Costituente, si presentarono al convento delle orsoline per fare l'inventario dei beni della comunità e chiedere alle suore se avevano l'intenzione di perseverare nella loro vocazione. Le suore erano allora trentadue e la loro superiora era Madre Clotilde Paillot, che era stata eletta il 13 febbraio precedente. La loro risposta fu unanime: intendevano restare orsoline votate all'educazione delle giovinette della città.
Per un paio d'anni le cose andarono avanti confusamente, e nonostante intralci di ogni genere, la comunità riuscì a sopravvivere. Ma la posizione strategica della città, al centro della zona di frontiera, avrebbe finito, nel corso delle alterne vicende della guerra che allora si combatteva fra la Francia e il resto d'Europa, per aggravare enormemente la loro situazione.
Il 13 settembre 1792 Valenciennes fu assediata dalle truppe nemiche e il 17 successivo le orsoline, essendo i loro locali requisiti dai difensori della città, furono costrette a riparare presso le consorelle di Mons in Belgio, da cui erano venute le fondatrici nel 1654. Quand'ecco che il 6 novembre le truppe francesi, vincitrici della battaglia di Jammapes, occuparono Mons, col risultato che le orsoline, qualche settimana dopo, dovettero nuovamente sloggiare.
Ma la loro occupazione di Mons non durò a lungo. Sconfìtte nella battaglia di Neerwinden, le truppe francesi la evacuarono il 21 marzo 1793. Il 29 luglio era la volta di Valenciennes a essere da loro abbandonata. Le orsoline di Valenciennes potevano ora pensare a fare ritorno nella loro città. Gli austriaci, padroni della città, incoraggiavano infatti la ricostituzione delle comunità.
Quando le orsoline di Valenciennes rimisero piede nella loro casa, iniziando subito a ricostituirla, essendo stata saccheggiata, era l'11 novembre L'attività delle suore non tardò a riprendere in tutta la sua intensità, tanto che il 29 aprile 1794 avevano luogo nel loro convento una professione e una vestizione.
Senonché il 26 giugno le truppe francesi ottennero una grande vittoria a Fleurus e il 26 agosto gli austriaci si ritirarono da Valenciennes. Alcune suore restarono nel convento con la Madre Clotilde e furono arrestate il 1° settembre e tenute prigioniere nelle loro stesse stanze. Le altre furono subito ricercate e infine arrestate insieme con numerosi altri sospetti. Il rappresentante della Convenzione era allora un certo Giovanni Battista Lacoste, uno dei personaggi più ripugnanti di quest'epoca.
Diversamente dal suo collega Lebon ex oratoriano, era stato giudice di pace ed avrebbe concluso la sua carriera tranquillamente come prefetto dell'impero. La sua grande ansia era di poter disporre sul posto di una ghigliottina, che era divenuta per lui una vera ossessione. Suo malgrado non potè riceverne una se non il 13 ottobre A questa data, il colpo di Stato del 9 termidoro (27 luglio 1794) era già avvenuto, ma lui, approfittando della vacanza del potere, non volle tenerne conto e il 14 ottobre fece erigere la sinistra macchina e quello stesso giorno 5 condannati furono giustiziati.
Il 15 ottobre alle nove della sera, 116 prevenuti furono riuniti nel municipio e messi a disposizione del tribunale costituito illegalmente da Lacoste. Particolarmente numerosi erano i preti e le religiose: le ragioni per cui li si voleva condannare erano occultate sotto accuse di tradimento ed emigrazione.
I prigionieri si trovavano ammucchiati in condizioni igieniche incredibili e per di più promiscuamente, per cui molte suore poterono approfittarne per confessarsi e comunicarsi. Le prime orsoline a comparire davanti al tribunale, il 17 ottobre insieme con tre preti refrattari, furono: Maria Luisa Giuseppe Vanot, nata a Valenciennes il 12 giugno 1728, professa il 31 agosto 1749 col nome di Sr. Maria Natalia Giuseppe di San Luigi; Giovanna Regina Prin, nata a Valenciennes il 9 luglio 1747, professa il 28 aprile 1767 col nome di Sr. Maria Lorenzina Giuseppe Regina di S. Stanislao; Agostina Gabriella Bourla, nata il 6 ottobre 1746 e Maria Genoveffa Ducrez, nata il 27 settembre 1756: tutte e due di Condé (dipart. del Nord), professe insieme il 28 aprile 1779 con i nomi rispettivamente di Sr. Maria Orsola Giuseppe di San Bernardino e di Sr. Maria Luisa Giuseppe di S. Francesco (il 31 agosto 1794 erano partite per Condé, dove erano state arrestate e rispedite a Valenciennes); l'ultima era Sr. Maria Maddalena Giuseppe Déjardin, nata a Cambrai l'11 giugno 1760, professa il 22 agosto 1781 col nome di Sr. Maria Agostina Giuseppe del Sacro Cuore di Gesù. Furono ghigliottinate quello stesso giorno.
Il secondo gruppo di religiose subì il martirio il 23 ottobre 1794: Madre Clotilde fu ghigliottinata per prima: ricorreva il trentottesimo anniversario della sua professione. Era nata il 25 novembre
1739 a Bavay ed era stata battezzata in pari data col nome di Clotilde Giuseppe. In religione aveva assunto quello di Sr. Maria Clotilde Giuseppe di S. Francesco Borgia. Nel 1789 era stata nominata consigliera; il 13 febbraio 1790 era stata eletta superiora e il 26 novembre 1793 confermata in questa carica.
Le altre furono: Laura Margherita Giuseppe Leroux, nata il 14 luglio 1749 a Cambrai, professa tra le orsoline il 9 agosto 1775 col nome di Sr. Maria Scolastica Giuseppe di San Giacomo: era stata arrestata la notte dal 31 agosto al 1° settembre, allo stesso tempo di sua sorella Anna Giuseppa, spesso chiamata Giuseppina, nata il 23 gennaio 1747 a Cambrai, professa il 10 maggio 1769 tra le Clarisse urbaniste di Valenciennes, e due brigidine, che erano state arrestate insieme nella notte dal 4 al 5 settembre, nate tutte e due a Pont-sur-Sambre, Maria Livia Lacroix il 24 marzo 1753, Maria Agostina Erraux il 20 ottobre 1762: erano passate dal convento delle brigidine di Valenciennes, dove portavano i nomi di Anna Maria Giuseppe e di Livia, al convento delle orsoline di Valenciennes, che le avevano accolte Livia col nome di M. Francesca. Ultima, una conversa, Giovanna Luisa Barré, nata il 23 aprile 1750, a Sailly-en-Ostrevent (diocesi di Arras), professa tra le orsoline il 20 gennaio 1777 col nome di Sr. Maria Cordola Giuseppe di San Domenico. Bisogna sottolineare l'aspetto di testimonianza data dalle 11 religiose in occasione del processo che le mandò a morte.
La priora Clotilde Paillot diede ai giudici risposte degne dei martiri della Chiesa primitiva e manifestamente ispirate dallo Spirito Santo. Condannate alla ghigliottina, le suore si tagliarono esse stesse i capelli e si sguarnirono gli abiti intorno al collo perché la mannaia potesse far meglio la sua opera. Ansiose di far conoscere il loro perdono ai persecutori, giunsero a baciare le mani dei carnefici. Tale era l'ardore che spingeva queste religiose al martirio, che Sr. Déjardin cercò invano di precedere le altre sui gradini del patibolo.
Le 11 religiose ghigliottinate a Valenciennes sono state beatificate da Benedetto XV il 13 giugno 1920 assieme a 4 Figlie della Carità di Arras. La causa era stata introdotta il 29 maggio 1907, la dichiarazione di martirio e la dispensa dai miracoli sono del 6 luglio 1919, il decreto de tuto reca la data del 29 febbraio 1920. La loro festa è stata fissata il 17 ottobre.
Esse attendono ora la canonizzazione.
(Autore: Raymond Darricau – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beate Martiri Orsoline di Valenciennes, pregate per noi.

*Sant'Osea - Profeta (17 ottobre)

Israele, VIII sec. A.C.
San Osea è il profeta ebraico Hoseah (=salvato dal Signore), vissuto nell'VIII secolo prima di Cristo. Figlio di Beerì, Osea è originario del regno del nord, Osea inizia la sua predicazione sotto Geroboamo II e la prosegue sotto i successori di questo. Il dramma personale di Osea, che lo spinge alla sua azione profetica è raccontato nei primi tre capitoli del libro della Bibbia che porta il suo nome. Probabilmente Osea aveva sposato una donna che amava e che l'aveva abbandonato, ma egli ha continuato ad amarla e l'ha ripresa dopo averla messa alla prova.
E' evidente il parallelismo tra Dio e il popolo d'Israele, che conme una donna infedele ha provocato le ire del suo sposo divino. Osea condanna le classi dirigenti di Israele, i re che hanno fatto scelte laiche e mondane e i sacerdoti che hanno abbandonato lo zelo al loro ministero, conducendo il popolo alla rovina. Egli tuona contro le ingiustizie e le violenze, ma soprattutto contro l'infedeltà religiosa, un messaggio vecchio di quasi tre milleni, ma sempre attuale.
Etimologia: Osea = salvato dal Signore, dall'ebraico
Martirologio Romano: Commemorazione di Sant’Osea, profeta, che, non solo con le parole, ma anche con la vita, mostrò all’infedele popolo di Israele il Signore come Sposo sempre fedele e mosso da infinita misericordia.
Il ‘Martirologio Romano’, ricorda al 17 novembre il profeta Osea, l’ebraico Hoseah, il cui nome significa “salvato dal Signore”. Osea apre nella Bibbia la serie dei cosiddetti “Profeti Minori”, ma in realtà la sua è una testimonianza di alto profilo e si basa su un’esperienza personale e familiare, che viene presa a simbolo religioso per tutto il popolo ebraico.
Contemporaneo del profeta Amos, Osea visse e operò nel regno settentrionale d’Israele, di cui era anche originario, nella seconda metà dell’VIII secolo a.C.; più precisamente predicò al popolo la Parola di Dio, in un periodo di tempo racchiuso tra il 750 e il 754 a.C., mentre si maturava la rovina di quel regno scismatico (721 a.C.) che si era separato dal regno di Giuda, dopo la morte di Salomone (931 a.C.).
Figlio di Beeri, Osea scrisse i suoi oracoli profetici al tempo di Ezechia re di Giuda e di Geroboamo II re d’Israele; il libro omonimo consta di 14 capitoli, i cui primi tre, sviluppano la sofferta storia personale e familiare del profeta.
Dietro ordine di Dio, egli sposò una prostituta di nome Gomer, figlia di Diblaim (forse era una sacerdotessa dei culti della fertilità a sfondo sessuale, del dio Baal dei cananei), dalla quale ebbe
tre figli dai nomi simbolici, il primo Izreel, dal nome della città dove abitavano d’estate i re d’Israele; la seconda figlia ebbe il nome chiesto da Dio di “Non-amata” e il terzo il nome sempre dettato da Dio, di “Non-popolo-mio”.
E la situazione familiare di Osea sarà il filo conduttore di tutto il Libro, perché la moglie Gomer, pur essendo amata dal profeta, dopo qualche tempo riprese a prostituirsi con numerosi amanti, abbandonando il marito ed i figli; i cui nomi simbolici riflettono la dolorosa situazione familiare.
Ma l’amore di Osea per la moglie infedele, gli fa superare il furore che ne scaturiva, convincendo Gomer a ritornare in famiglia dove c’era amore e perdono; nel capitolo 3 egli descrive così la ricongiunzione: [Il Signore mi disse: “Và di nuovo, ama la donna amata da suo marito, benché adultera, come il Signore ama i figli d’Israele, benché essi si volgano verso altri dei e amino le schiacciate di uve passe”. Io dunque me la comprai per quindici pezzi d’argento e una misura e mezza di orzo. Poi le dissi: “Per un lungo periodo rimarrai al tuo posto con me, non ti prostituirai e non sarai di un altro e neppure io verrò da te”.
Perché per un lungo periodo i figli d’Israele saranno senza re e senza principe, senza sacrificio e senza stele… Dopo ciò i figli d’Israele si convertiranno, cercheranno il Signore loro Dio e Davide loro re, trepidanti accorreranno al Signore e ai suoi beni, alla fine dei giorni].
È evidente il parallelismo tra Dio e il popolo d’Israele, che come una moglie infedele ha provocato le ire del suo Sposo divino; per la prima volta nella Bibbia, Dio viene esaltato come lo Sposo del suo
popolo, perché l’alleanza che lo lega ad esso, è un patto d’amore.
Il profeta Osea nei capitoli successivi, condanna le classi dirigenti d’Israele, i re che hanno fatto scelte laiche e mondane e i sacerdoti che hanno abbandonato lo zelo, trascurando il loro ministero, portando il popolo alla rovina.
Egli si scaglia contro le violenze e le ingiustizie, soprattutto contro l’infedeltà religiosa, ma poi il profeta, con pagine di eccezionale vigore, descrive l’amore di Dio con mirabili accenti di intimità e tenerezza, che sebbene tradito, continua vivo e pieno di sollecitudine, al fine di ricondurre a sé il popolo infedele.
A partire da Osea, la raffigurazione dell’alleanza tra Jahvé e Israele, non sarà più modellata, come al Sinai, sulla base di un rapporto tra un re e un suo vassallo, cioè un rapporto ‘politico’ tra due personaggi; viene invece rappresentata come una relazione d’amore tra due sposi, con aspetti di comunione, spontaneità, intimità; tema che verrà ripreso dai profeti successivi, sia pure in forme diverse, costituendo un simbolismo efficace anche per il Nuovo Testamento.
Al di là del simbolismo, con cui Osea ha scritto il suo oracolo profetico, per richiamare l’infedele popolo d’Israele, gli studiosi sono concordi nel ritenere vere le disavventure familiari del profeta, che egli trasfigura facendole diventare una parabola dell’intera vicenda del popolo, che di fronte all’amore fedele da parte del Signore, la “sposa” Israele, aveva risposto con l’infedeltà dell’idolatria cananea, definita appunto come prostituzione e adulterio.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Sant'Osea, pregate per noi.

*Beato Perfecto Carrascosa Santos - Sacerdote Francescano, Martire (17 ottobre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:

“Beati Martiri Spagnoli Frati Minori di Madrid” Beatificati nel 2007 (Senza data - Celebrazioni singole)
“Beati 498 Martiri Spagnoli” Beatificati nel 2007 (6 novembre)
“Martiri della Guerra di Spagna” (Senza Data - Celebrazioni singole)

18 aprile 1906 - 17 ottobre 1936
Nacque a Villacañas (Toledo) il 18 aprile 1906 da Benito e Angela Santos, fu battezzato il 21 aprile 1906 e confermato il 16 giugno 1916.
Ereditò dal padre una particolare inclinazione alla vita di pietà, alle pratiche religiose, alla comunione frequente.
Fu accolito e catechista dei più piccoli.
Alla fine di settembre del 1916 entrò nel seminario minore di Belmonte (Cuenca) dove restò tre anni, per poi completare l’istruzione umanistica ad Alcazar de San Juan.
Vestì l’abito religioso il 3 agosto 1921 e durante il noviziato fu decano e modello dei suoi connovizi. Emise la professione semplice il 4 agosto 1922.
Iniziò quindi gli studi di filosofia nel seminario di Pastrana, ma dovette interromperli a causa di una tubercolosi ossea che si manifesto agli arti inferiori e che lo costrinse a tornare in famiglia per esservi curato per 14 mesi. Ripresa alquanto la salute, continuò l’iter formativo fino alle tappe della professione solenne (Consuegra 3 maggio 1927) e dell’ordinazione sacerdotale (Madrid 2 giugno 1929). Destinato dall’obbedienza alla formazione nel convento di Pastrana, dal 1929 al 1935 insegnò con competenza e soddisfazione degli alunni molte discipline (sociologia, matematica, chimica fisica, scienze naturali).
Anche il suo apostolato fu principalmente a servizio degli studenti dei quali fu confessore, direttore spirituale, direttore di coro. Fu anche direttore del Terz’Ordine Francescano disimpegnando l’incarico con zelo e piena soddisfazione dei terziari.
Nell’ottobre 1935 fu nominato Segretario provinciale, motivo per cui si trovava a Madrid il 18 luglio allo scoppio della guerra civile. Fu allora costretto a rifugiarsi presso la sua famiglia a Villacañas,
dove fu sentito ripetere: “Se Dio mi vuole martire, mi darà anche le forze per sopportare il martirio”, vi rimase nascosto conducendo però una intensa vita di preghiera anche la notte.
I compaesani comunisti lo conoscevano come persona innocente, non così i capi marxisti che alle prime ore del 14 settembre si presentarono per arrestarlo e condurlo nell’Ermita del Cristo dove erano già altri prigionieri del paese.
La prigionia del padre Perfecto fu eroica a motivo delle molte violenze fisiche subite nel tentativo di piegarlo alla bestemmia, mostrando una serenità e una fortezza che non apparteneva al suo carattere conosciuto come timido e debole.
Nonostante tutto, egli mai pronunciò una parola di condanna contro i torturatori e fu esemplare nell’animare gli altri detenuti alla fede, al perdono verso i persecutori e a invitarli a confessarsi per vivere in grazia di Dio quella dolorosa esperienza.
Nelle prime ore del 17 ottobre fu condotto con altri cinque prigionieri secolari al cimitero di Tembleque (Toledo), dove giunto egli chiese di essere fucilato dopo i suoi cinque compagni di martirio a cui aveva già dato l’assoluzione e che animò e accompagnò negli ultimi loro istanti di vita, poi venne a sua volta ucciso. I loro corpi furono sepolti la stessa mattina in una fossa comune.
(Fonte: www.ofm.org)
Giaculatoria - Beato Perfecto Carrascosa Santos, pregate per noi.

*Beato Pietro Casani (Pietro della Natività di Maria) - Scolopio (17 ottobre)

Lucca, 8 settembre 1572 – Roma, 17 ottobre 1647
Martirologio Romano: A Roma, beato Pietro della Natività della Beata Vergine Maria Casani, sacerdote dell’Ordine dei Chierici regolari delle Scuole Pie, che mise le sue doti di natura e di grazia a servizio dell’istruzione dei fanciulli, lieto soltanto di servire Dio nei piccoli.
Pietro Casani, nacque a Lucca l’8 settembre 1572 da genitori appartenenti ad antica nobiltà, benestanti e molto devoti. Il padre rimasto vedovo, prima restò con il figlio, poi quando Pietro decise nel 1594 a 22 anni, di entrare nella Congregazione della Madre di Dio, fondata a Lucca da San Giovanni Leonardi (1541-1609), anche Gaspare Casani decise di entrarvi nel 1610 come fratello laico.
Il Santo fondatore ebbe una favorevole impressione del giovane, constatata l’austerità della sua vita, la vasta cultura e per il suo carattere docile, al punto che pur essendo ancora un chierico lo scelse come suo collaboratore.
Infatti Pietro Casani fu un attento relatore delle visite effettuate da s. Giovanni Leonardi per
incarico del papa Clemente VIII, alla Congregazione di Montevergine ed ai monaci di Vallombrosa; inoltre il santo fondatore si avvalse della collaborazione di Pietro Casani per elaborare le Costituzioni della sua nuova Istituzione.
Restò nella Congregazione della Madre di Dio per 23 anni, intanto nel 1614 POapa Paolo V approvò la fusione della Congregazione lucchese con le ‘Scuole Pie’ dirette da San Giuseppe Calasanzio (1588-1648) sacerdote spagnolo trapiantato a Roma, dove le aveva fondate nel 1597.
Ma la fusione delle due Istituzioni non fu felice, diverse erano i fini e i metodi di apostolato; le “Scuole Pie” consideravano l’istruzione ministero primario, con emissione del voto di povertà; mentre la Congregazione lucchese dedita al ministero sacerdotale, considerava la scuola un’appendice dell’apostolato teso alla salvezza delle anime e contraria al voto di povertà.
Pertanto nel 1617 dopo una convivenza di tre anni, in cui si vide anche il calo del numero degli studenti, dai 1200 raggiunti nel 1614 con il rettorato di Pietro Casani nell’Istituto di San Pantaleo delle Scuole Pie a Roma, ai circa 1000 del 1617 per la mancanza di aiuto nel magistero, che si sperava giungesse copioso dalla Congregazione lucchese, il papa su richiesta comune, sciolse l’unione dando la dignità di Congregazione ai figli del Calasanzio, denominandola “Congregazione Paolina della Madre di Dio delle Scuole Pie”, che poi nel 1621 diventerà l’”Ordine delle Scuole Pie”.
Fu data l’opportunità ai membri delle due Congregazioni di fare un’eventuale scelta e il Casani con alcuni novizi e fratelli laici, attratto soprattutto dal carisma del voto di povertà, infatti sarà chiamato ‘Pietro il povero’, passò definitivamente nelle “Scuole Pie”.
Si mise sotto la guida del fondatore s. Giuseppe Calasanzio, avendo ben compreso il carisma degli ‘scolopi’, come venivano chiamati i membri dell’Istituzione, di salvare la gioventù attraverso la scuola.
Insieme al fondatore prese l’abito religioso e il nome di Pietro della Natività di Maria nel 1617; fu rettore delle Scuole di S. Pantaleo a Roma, maestro dei novizi, insegnante di filosofia e teologia, poi assistente generale e visitatore dei collegi; fu il principale aiuto del Calasanzio nella diffusione delle ‘Scuole Pie’ in Italia e in Germania.
Dopo un’amara delusione in Sicilia, dove pur già stabilendo una Casa con alcuni novizi a Messina, per l’opposizione soprattutto dei Gesuiti, già presenti con le loro scuole nell’Isola, non riuscì ad avere la licenza della Curia, pertanto il 14 aprile 1627 si spostò a Napoli.
Per la città partenopea fu una scelta provvidenziale, perché determinò una rinascita ed un interesse generalizzato, dal popolo ai nobili, verso la povertà della gente. Prese la carica di Rettore della Casa della Duchesca già fondata dal Calasanzio; suscitò l’entusiasmo dei religiosi e persone private, che cercarono di dotare la Casa di locali più idonei alle attività scolastiche, religiose e ricreative.
Una parte di essa sarà tramutata nella Chiesa dell’Annunziata poi di S. Anna. Durante il suo provincialato a Napoli, la scuola fu guidata da 30 religiosi e frequentata da 600 alunni, le vocazioni religiose degli Scolopi aumentarono a 57. Ebbe il singolare privilegio di essere un paciere, ricercato nelle controversie fra molti nobili e potenti famiglie.
Durante il periodo napoletano lavorò molto per la diffusione delle Scuole Pie nell’Italia Meridionale, fondò le Case di Bisignano nel 1627, Campi Salentina nel 1628; fondò a Napoli alcune Congregazioni per laici per promuovere la carità cristiana, come quella della Purificazione per i Commercianti, per gli Artisti, per Adulti e Giovani, per i Nobili.
Nella scia di questo religioso, povero ed austero, i padri Scolopi che operarono ed operano a Napoli hanno proseguito l’Opera della Congregazione nel grande Istituto Calasanzio, posto al fianco del palazzo arcivescovile, altri Istituti in città e provincia ed una parrocchia.
A seguito di coinvolgimenti storici dell’epoca, che videro in primo piano Galileo Galilei, i Medici di Firenze e soprattutto per le controversie, maldicenze e sete di potere di un loro confratello padre
Mario Sozzi, Pietro Casani venne deposto dal Tribunale dell’Inquisizione, insieme con il Calasanzio e altri Assistenti Generali, accettò la disposizione con ammirevole pazienza e fortezza.
Restò a fianco del Calasanzio nei momenti più dolorosi per l’Ordine delle Scuole Pie, che il 17 marzo 1646, dopo varie visite inquisitorie, venne ridotto a semplice Congregazione, con la facoltà dei membri di passare in altri Ordini.
Morì il 17 ottobre 1647 a Roma nella Casa di S. Pantaleo, assistito dal Calasanzio, che morirà 10 mesi dopo; le sue spoglie riposano accanto a quelle del Calasanzio e del venerabile Glicerio Landriani nella medesima Casa romana.
In vita ebbe la stima dei due grandi santi fondatori, con i quali era diventato, in momenti successivi, il più vicino collaboratore: San Giovanni Leonardi e San Giuseppe Calasanzio. Fra i suoi confratelli sia dell’una, che dell’altra Congregazione, era considerato “teologo e uomo insigne in virtù e di grande spirito e sapere”. Già in vita esisteva una lista di 24 fatti miracolosi, da lui operati, si parlava di fatti prodigiosi e fenomeni mistici; era dovunque chiamato “padre santo”, alle sue prediche in piazza accorrevano migliaia di fedeli; i suoi funerali furono un’apoteosi per la partecipazione di una grande folla.
Alla fama di santità contribuirono senz’altro gli effetti ottenuti con i suoi ‘esorcismi’, cioè delle sue preghiere con le quali si chiede a Dio per i meriti della Passione di Gesù, l’intercessione di Maria e di alcuni santi, la liberazione da ogni male del corpo e dello spirito; ‘esorcismi’ da lui composti, i quali debitamente approvati vengono ancora oggi usati per scongiurare terremoti, tempeste, malattie contagiose e nei parti difficili.
Lo stesso Calasanzio si adoperò affinché si avviasse il processo per la sua Beatificazione e fece stampare un’immagine con gli ‘esorcismi’ che divulgò ampiamente.
Papa Giovanni Paolo II ha beatificato Pietro della Natività di Maria Casani, il 1° ottobre 1995.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Pietro Casani, pregate per noi.

*Beato Raimondo Stefano Bou Pascual - Sacerdote e Martire (17 ottobre)
Schede dei gruppi a cui appartiene:

“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” Beatificati nel 2001
“Martiri della Guerra di Spagna”

Martirologio Romano: In località La Nucía vicino ad Alicante sempre in Spagna, Beato Raimondo Stefano Bou Pascual, sacerdote e martire, che, durante la stessa persecuzione, come un fedele discepolo, meritò la salvezza nel sangue di Cristo.
Il Beato Raimondo Stefano Bou Pascual nacque a Polop de la Marina in Alicante.
Il 12 ottobre 1906, appena nato è stato abbandonato e trovato avvolto in una coperta da una famiglia di Benimantell, che l’adottò.  Ha studiato presso il seminario di Valencia ed è stato ordinato nel 1930.
Inizialmente don Raimondo Stefano, è stato curato a Almussafes e fu nominato cappellano delle Suore di Cristo Re di Benifaió in Valencia.
Nel dicembre 1931 fu nominato reggente di Planes.  In questa sede, nella più grande modestia, da dimostrato il suo grande impegno per un servizio costante verso i più poveri.
Gli anni in cui esercitò il suo servizio pastorale a Planes erano tempi difficili, ma questo non lo distolse mai dai sui impegni di parroco. In parrocchia ebbe sempre grande cura della catechesi.

Con la rivoluzione di luglio del 1936, il 22, dopo un increscioso saccheggio venne chiusa la sua  parrocchia.
Raimondo Stefano Bou Pascual constatato l'evidente pericolo nel restare a Planes, si recò a Catamarruch e, subito dopo, Benimantell, a casa di una sua zia.
Il 13 ottobre dopo aver saputo che i miliziani lo stavano cercando riuscì a fuggire.  Dopo aver cercato un rifugio in alcune case, dove gli fu sempre negata qualsiasi ospitalità decise di tornare a casa sua. Appreso che suo padre e fratello erano stati arrestati e si trovavano in carcere, decise di arrendersi.
All'alba del 15 ottobre 1936, venne portato nelle vicinanze del cimitero di La Nucía e lo fucilarono.
Prima di morire, riuscì a perdonare i suoi assassini.
In una lettera scritta giorni precedenti, aveva affermato che non c'è più onore che il martirio.
Raimondo Stefano Bou Pascual è stato beatificato nel gruppo dei 233 martiri a Valencia da San Giovanni Paolo II l'11 marzo 2001.
(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Encuclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Raimondo Stefano Bou Pascual, pregate per noi.

*San Riccardo Gwyn - Martire (17 ottobre)
Scheda del gruppo cui appartiene:

“Santi Quaranta Martiri di Inghilterra e Galles”
Llandiloes, Galles, 1537 circa – Wrexham, Galles, 17 ottobre 1584
Martirologio Romano: A Wrexham in Galles, San Riccardo Gwyn, martire, che, padre di famiglia e maestro di scuola, professò la fede cattolica e, arrestato per aver persuaso altri ad abbracciarla, dopo lunghi tormenti, invitto nella fede, fu impiccato sul patibolo e sventrato ancora vivo.
Richard Gwyn nacque a Llandiloes, nel Montgomeryshire in Galles, verso il 1537. Iscritto al St John’s College di Cambridge, dovette ritirarsi dopo soli due anni per carenze finanziarie. Tornato nella terra natia, fu maestro ad Overton nel Clwy.
Qui si sposò ed ebbe sei figli, tre dei quali morirono ben presto. Minacciato di multa per non frequentare la parrocchia anglicana del luogo, si convertì per un certo periodo a tale confessione imposta dall’Atto di Uniformità del 1559.
In seguito però si pentì e tornò al cattolicesimo. Si trasferì ad Overstock, ove aprì una scuola. Nel 1579 fu arrestato in quanto cattolico presso Wrexham, ma riuscì fortunosamente a fuggire. L’anno successivo, quando il Consiglio della Corona invitò i vescovi ad impegnarsi nell’arresto di tutti gli insegnanti cattolici, capaci di influenzare le scelte delle giovani generazioni, Riccardo fu nuovamente arrestato ed imprigionato nel castello di Ruthim.
Rifiutando però di firmare l’atto di sottomissione, fu portato nella chiesa del luogo, ove fece tanto rumore da coprire le parole del predicatore. Per punizione fu allora messo alla gogna e multato. Una volta rilasciato, non fu in grado di pagare le multe per la mancata frequentazione della chiesa e perciò arrestato per l’ennesima volta.
Condotto allora in giudizio insieme ad altri dissidenti, fu stimolato mediante torture a rivelare i nomi dei cattolici ancora presenti sul territorio. Durante la prigionia scrisse parecchie poesie in lingua gallese, assai polemiche e dal tono alquanto amaro, per esortare i propri compatrioti a restare fedeli all’antica “madre Chiesa” ed attaccare lo scisma anglicano ed i suoi seguaci.
Fu infine condotto per l’ottava volta in giudizio a Wrexham, ove fu accusato di aver ricondotto una persona alla fede cattolica e di riconoscere il primato papale. La prima accusa secondo la legge del
1581 era considerata reato degno di morte. Le prove contro di lui erano state falsificate, ma fu comunque condannato a morte per non voler riconoscere la supremazia regale.
Sua moglie, che con uno dei figli era stata ammonita a non seguire l’esempio del marito, si dichiarò invece a seguirne la medesima sorte. Sul patibolo Riccardo ribadì ancora di riconoscere Elisabetta come legittima regina inglese, ma non quale Capo della Chiesa d’Inghilterra, poi fu impiccato, calato a terra e squartato. Ciò evvenne a Wrexham, nel Galles, il 17 ottobre 1584.
Il curatore delle sue poesie affermò: “Nonostante i suoi momenti di debolezza, aveva un carattere veramente amabile, era un marito ed un padre devoto, un insegnante dei giovani che seppe conquistarsi e conservare il forte affetto dei suoi allievi”.
Ben quaranta martiri di Inghilterra e Galles di quel periodo, Cuthbert Mayne e 39 compagni, tra i quali appunto Richard Gwyn, furono canonizzati da Papa Paolo VI il 25 ottobre 1970, nell’auspicio che il sangue dei martiri potesse dare frutti di dialogo e di unità con i fratelli cristiani separati.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Riccardo Gwyn, pregate per noi.

*San Rufo - Martire (17 ottobre)

sec. I
Le informazioni sui santi Rufo e Zosimo sono minime. San Policarpo, in una lettera ai cristiani di Filippi parla di loro. Secondo il martirologio romano, Rufo e Zosimo «furono nel numero di quei discepoli, che fondarono la primitiva Chiesa fra Giudei e i Greci». Entrambe le fonti però non permettono di parlare con sicurezza di un loro martirio avvenuto nel I secolo.
In un elenco di "discepoli del Signore" festeggiati dalla Chiesa bizantina si trova infatti un "Rufo" che forse s’identifica con il personaggio omonimo citato dal Vangelo di Marco (15,21) e dalla lettera ai Romani di san Paolo (16,13). Tuttavia Rufo rappresenta un modello per tutta la Chiesa. (Avvenire)
Etimologia: Rufo = fulvo, rossiccio, dal latino
Emblema: Palma
Martirologio Romano: Commemorazione dei santi Rufo e Zosimo, martiri, che il Beato Policarpo associò nel martirio a sant’Ignazio, scrivendo ai Filippesi: «Essi condivisero la passione del Signore e non amarono il secolo presente, ma colui che per loro e per tutti è morto e risorto».
“Io vi esorto quindi tutti ad obbedire e ad esercitare la vostra pazienza, quella che avete vista con i vostri occhi, non solo nei Beati Ignazio, Rufo e Zosimo, ma anche in altri vostri concittadini, nello stesso Paolo e negli altri apostoli. Siate persuasi che tutti costoro non hanno corso invano, ma nella fede e nella giustizia, e che essi sono presso il Signore, nel luogo ad essi dovuto per le sofferenze che hanno sopportato. Poiché essi non hanno amato il secolo presente, ma Colui che è morto per noi e che per noi è stato risuscitato da Dio”. Questo meraviglioso "appello" è stato indirizzato ai cristiani filippesi da San Policarpo.
Filippi era una celebre città della Macedonia, ai confini con la Tracia, che traeva il suo nome da Filippo II, padre di Alessandro Magno. La composizione etnica della comunità cristiana era prevalentemente di ex-pagani, mentre quelli provenienti dal giudaismo erano una minoranza.
Il cristianesimo era stato portato ai Filippesi dallo stesso San Paolo: era la prima comunità da lui fondata sul suolo europeo, e forse anche per questo la comunità dei Filippesi fu sempre particolarmente vicina al suo cuore, come dimostrano diverse espressioni della lettera che San Paolo
scrisse loro dalla prigionia romana o, più probabilmente, da una prigionia ad Efeso.
Policarpo, nominando San Paolo, era certo di toccare il cuore di quei cristiani, come certo già aveva fatto nominando quell'altro campione che fu Sant'Ignazio di Antiochia, che ai Filippesi si presentò incatenato durante la sua marcia di trasferimento a Roma, dove, secondo il suo desiderio, sarebbe divenuto "frumento di Cristo", macinato dai denti delle belve.
E’ per l'appunto in questa eccezionale compagnia di Sant'Ignazio e di San Paolo che vengono posti Santi Rufo e Zosimo. Di costoro il Martirologio Romano riferisce, con un giudizio che dipende dallo storico Sant'Adone, che essi "furono nel numero di quei discepoli, che fondarono la primitiva Chiesa fra i Giudei e i Greci". Ma la notizia non sembra abbastanza confermata.
In un elenco di "discepoli del Signore" festeggiati dalla Chiesa bizantina si trova infatti un "Rufo" che forse s'identifica con il personaggio omonimo citato dal Vangelo di Marco (15,21) e dalla Lettera ai Romani di San Paolo (16,13), ma forse non si tratta del santo odierno; e in ogni caso non vi si fa parola di Zosimo.
Anche il loro stesso "martirio" non è sufficientemente attestato. Tuttavia, anche questi due personaggi di cui non sappiamo molto hanno testimoniato Cristo e sono per noi modello e stimolo, ed è questo che conta.

(Autore: Piero Bargellini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Rufo, pregate per noi.

*San Ruricio II - Vescovo di Limoges (17 ottobre)

V-VI sec.
San Ruricio II o Proculo (?) è stato un vescovo di Limoges. Nella lista dei vescovi della diocesi figura al quarto posto dopo san Ruricio I e prima del Beato Esocio o Essocio.
Il suo nome compare nel più antico catalogo episcopale della diocesi,  conservato in un manoscritto del monaco Adémar de Chabannes, monaco dell'abbazia di San Marziale. Il manoscritto che fu redatto nella prima metà dell’anno mille, venne poi integrato ed ampliato da un altro monaco di San Marziale, Bernard Itier, nel XIII secolo e successivamente da Bernardo Gui nelle sue “Gesta Lemovicensium episcoporum”.
Tutti i nomi inseriti in questi elenchi sono di dubbia storicità fino al V secolo, quando inizieranno ed essere documentati i vescovi limosini.
Non sono certe le date del suo governo pastorale, ma si ritiene che abbia governato la diocesi prima del 535 e dopo il 549.
Sappiamo che San Ruricio II era nipote del suo omonimo e predecessore.
Su di lui esiste la leggenda che racconta che era un giovane di facili costumi che viveva tra l’opulenza e i fasti. Giovane orgoglioso si narra che “Dio” lo affidò all’eremita  San Giuniano, che oltre a guarirlo da una malattia che alcuni medici non riuscendo a guarirlo ne avevano aggravato le sue condizioni fisiche, gli fece capire il vero valore dell’umiltà.
Sappiamo che l’episcopato di Ruricio II, iniziò prima del 535, anno del concilio di Clermont a cui partecipò. Inoltre egli partecipò al IV concilio di Orléans nel 541, e si fece rappresentare a quello successivo del 549. Si presume che poco dopo quest’ultimo concilio egli morì.
San Ruricio II venne sepolto nella chiesa di San Giuniano, che egli fece costruire sulla tomba del santo in riconoscenza alla sua guarigione.
Su di lui è rimasto un epitaffio, in comune con il suo predecessore, composto da Venanzio Fortunato.
Non esiste alcuna prova che su San Ruricio II vi fosse un’antica devozione.  Attualmente la sua festa si celebra nel giorno 17 ottobre.
(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Ruricio II, pregate per noi.

*Beata Tarsila Cordoba Belda - Vedova, Martire (17 ottobre)

Collana, Spagna, 8 maggio 1861 – Algemesì, Spagna, 17 ottobre 1936
Martirologio Romano: Nella città di Algemesí nel territorio di Valencia ancora in Spagna, beata Tarsilla Córdoba Belda, martire, che, madre di famiglia, sempre nella stessa persecuzione fu accolta da Cristo nella gloria.
Tarsila Cordoba Belda, fedele laica dell’arcidiocesi di Valencia, nacque a Collana in Spagna l’8 maggio 1861 e ricevette il battesimo sette giorni dopo nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Maddalena.
Dal suo matrimonio, celebrato il 19 gennaio 1884 nella chiesa parrocchiale, nacquero due figli che però morirono in gioventù a causa di varie malattie.
Inoltre il 26 marzo 1922 rimase vedova, fattore che la ispirò a dedicarsi ancor di più all’apostolato ed al servizio di Dio e dei poveri. A tal fine aderì all’Azione Cattolica Spagnola.
Allo scoppio della guerra civile e della feroce persecuzione religiosa che attraversò la Spagna negli anni ’30 del XX secolo, Tarsila occultò delle suppellettili della chiesa a casa sua e curò delle suore nascoste. Scopertà, fu uccisa il 17 ottobre 1936 presso Algemesì.
Papa Giovanni Paolo II l’11 marzo 2001 elevò agli onori degli altari ben 233 vittime della medesima persecuzione, tra le quali la Beata Tarsila Cordoba Belda, che viene festeggiata nell’anniversario del suo martirio.

(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beata Tarsila Cordoba Belda, pregate per noi.

*San Zosimo - Martire (17 ottobre)

sec. I
Le informazioni sui Santi Rufo e Zosimo sono minime. San Policarpo, in una lettera ai cristiani di Filippi parla di loro. Secondo il martirologio romano, Rufo e Zosimo «furono nel numero di quei discepoli, che fondarono la primitiva Chiesa fra Giudei e i Greci».
Entrambe le fonti però non permettono di parlare con sicurezza di un loro martirio avvenuto nel I secolo. In un elenco di "discepoli del Signore" festeggiati dalla Chiesa bizantina si trova infatti un "Rufo" che forse s’identifica con il personaggio omonimo citato dal Vangelo di Marco (15,21) e dalla lettera ai Romani di san Paolo (16,13).
Tuttavia Rufo rappresenta un modello per tutta la Chiesa. (Avvenire)
Emblema: Palma
Martirologio Romano: Commemorazione dei Santi Rufo e Zosimo, martiri, che il Beato Policarpo associò nel martirio a Sant’Ignazio, scrivendo ai Filippesi: «Essi condivisero la passione del Signore e non amarono il secolo presente, ma colui che per loro e per tutti è morto e risorto».
“Io vi esorto quindi tutti ad obbedire e ad esercitare la vostra pazienza, quella che avete vista con i vostri occhi, non solo nei Beati Ignazio, Rufo e Zosimo, ma anche in altri vostri concittadini, nello stesso Paolo e negli altri apostoli.
Siate persuasi che tutti costoro non hanno corso invano, ma nella fede e nella giustizia, e che essi sono presso il Signore, nel luogo ad essi dovuto per le sofferenze che hanno sopportato. Poiché essi non hanno amato il secolo presente, ma Colui che è morto per noi e che per noi è stato risuscitato da Dio”. Questo meraviglioso "appello" è stato indirizzato ai cristiani filippesi da San Policarpo.
Filippi era una celebre città della Macedonia, ai confini con la Tracia, che traeva il suo nome da Filippo II, padre di Alessandro Magno.
La composizione etnica della comunità cristiana era prevalentemente di ex-pagani, mentre quelli provenienti dal giudaismo erano una minoranza. Il cristianesimo era stato portato ai Filippesi dallo stesso San Paolo: era la prima comunità da lui fondata sul suolo europeo, e forse anche per questo la comunità dei Filippesi fu sempre particolarmente vicina al suo cuore, come dimostrano diverse espressioni della lettera che San Paolo scrisse loro dalla prigionia romana o, più probabilmente, da una prigionia ad Efeso.
Policarpo, nominando San Paolo, era certo di toccare il cuore di quei cristiani, come certo già aveva fatto nominando quell'altro campione che fu Sant'Ignazio di Antiochia, che ai Filippesi si presentò incatenato durante la sua marcia di trasferimento a Roma, dove, secondo il suo desiderio, sarebbe divenuto "frumento di Cristo", macinato dai denti delle belve.
E’ per l'appunto in questa eccezionale compagnia di Sant'Ignazio e di San Paolo che vengono posti Santi Rufo e Zosimo. Di costoro il Martirologio Romano riferisce, con un giudizio che dipende dallo storico Sant'Adone, che essi "furono nel numero di quei discepoli, che fondarono la primitiva Chiesa fra i Giudei e i Greci". Ma la notizia non sembra abbastanza confermata. In un elenco di "discepoli del Signore" festeggiati dalla Chiesa bizantina si trova infatti un "Rufo" che forse s'identifica con il personaggio omonimo citato dal Vangelo di Marco (15,21) e dalla Lettera ai Romani di San Paolo (16,13), ma forse non si tratta del Santo odierno; e in ogni caso non vi si fa parola di Zosimo.
Anche il loro stesso "martirio" non è sufficientemente attestato.
Tuttavia, anche questi due personaggi di cui non sappiamo molto hanno testimoniato Cristo e sono per noi modello e stimolo, ed è questo che conta.
(Autore: Piero Bargellini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Altri Santi del giorno (17 ottobre)

*San
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